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Angeli e demoni, recensione del romanzo

“La scienza mi dice che deve esserci un Dio, la mente che non lo comprenderò mai, il cuore che non sono tenuto a farlo”. (Dan Brown, Angeli e Demoni)

Le alchimie editoriali

Presentato in Italia nel 2004, il libro venne a tutti indicato come il nuovo best seller dell’autore de “Il Codice da Vinci”.
In realtà “Angeli e Demoni” è risalente al 2000 e quindi precedente di ben tre anni alla stesura originale del “Codice”.
Si tratta dunque della prima apparizione sul palcoscenico del protagonista cartaceo e seriale, il prof. Robert Langdon, docente di simbologia religiosa, chiamato a risolvere il suo primo enigma, prima che la bomba dello psicopatico di turno polverizzi il Vaticano.

Il volume

Appartenente alla categoria dei thriller storici, la vicenda, nel suo sviluppo, sembra che compia un salto a ritroso nel tempo. Nel passaggio dall'ipertecnologico CERN al cammino dell’Illuminazione (le cui tappe sono scandite dai monumenti del Bernini sparsi per la città), si manifesta il legame tra presente e passato. Tale legame giustifica anche il volere del killer, anch’egli scienziato, desideroso di far pagare alla Chiesa tutte le persecuzioni contro gli scienziati di ogni epoca, assurgendo così al doppio ruolo di angelo vendicatore, oltre che di demone cattivo.
E sul dualismo che lega la figura dei demoni - che in realtà altro non sono che angeli caduti in disgrazia, secondo la demonologia cristiana - si snoda l’intreccio tra storia e religione nella vicenda.
Il bene e il male si confondono in un continuo scambio di ruoli che tiene alta la tensione fino all’ultimo rigo, quando la “rivelazione” finale ci farà inquadrare molti dei protagonisti nella giusta luce.
Sotto il profilo dunque dell’efficacia, il libro garantisce una elevata dose di tensione e si lascia seguire con avidità fino in fondo.
Dove invece sono da rivolgere degli appunti, è sul lavoro redazionale. Molte le inesattezze e gli errori (specie nella versione originale), che descrivono la città di Roma con elementare superficialità. In questa ultimi anni - Ken Follett docet! - durante i quali il romanzo storico deve il suo successo all’attinenza scrupolosa (se non addirittura rivelatrice) con la realtà storica ed ambientale dei luoghi e dei fatti di cui narra, tanta leggerezza lascia alquanto perplessi. Per non parlare di quanto si può osservare nella trasposizione cinematografica dove taluni errori sono macroscopici e di una ingenuità più confacente all’improvvisazione che non alla professionalità.
Probabilmente se il volume fosse uscito in Italia prima del Codice da Vinci, il complessivo successo dell’autore ne sarebbe uscito ridimensionato, anche se in relazione a operazioni editoriali di questo calibro la responsabilità va fatta ricadere anche sull’entourage redazionale e sulle case editrici che evidentemente non volevano perdere “l’effetto Da vinci”.

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