State of Play DVD, recensione e trama
Un thriller costruito con onestà ma che si addormenta alla guida.
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Scheda e trama
"State of Play" è un film del 2009 diretto da Kevin Macdonald, interpretato da Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams e Helen Mirren.
Cal McAffrey (Crowe), giornalista vecchio stampo, si ritrova ad indagare sulla morte di una collaboratrice e amante del deputato e amico Steven Collins (Ben Affleck), il quale presiede un comitato di controllo di spese per la difesa nazionale, la cui azione dà molto fastidio alle società che si occupano di operazioni di sicurezza e lotta al terrore.
Aiutato dalla giovane Della Frye (McAdams), giornalista in erba, e dalla sua severa redattrice capo Cameron Lynne (Mirren), si ritroverà invischiato in una giostra di complotti industriali, politici doppiogiochisti e tradimenti, in cui rischierà tutto.
Tratto dall'omonima serie inglese, ha avuto una lavorazione tormentata e che annovera, tra le vittime eccellenti che hanno abbandonato il progetto, attori come Brad Pitt e Edward Norton.
Recensione
Una regia dinamica, una fotografia apprezzabile, un montaggio sicuro, sprazzi di atmosfere anni '70 e accenni a drammi umani reali, un Russell Crowe convincente (più per charme che per spessore), un'ottima Helen Mirren. "State of play" è tutto qui.
Per il resto, si tratta di un film che inganna lo spettatore con le migliori intenzioni: dopo aver costruito una messa in scena verosimile e un'indagine credibile con poche forzature, sgonfia il tutto per lasciar posto ad un colpo di scena finale talmente inaspettato da diventare una vera e propria frattura, completamente sganciata dal tessuto narrativo.
Ciò che era cominciato come un semplice pretesto per sviluppare le basi di un complotto industriale che coinvolge le più alte cariche dell'apparato istituzionale americano, tema inflazionato ma pur sempre ricco di spunti, ritorna improvvisamente ad essere l'unica materia di cui il film si occupa, costringendo lo spettatore a cancellare rapidamente ogni teoria, ogni aspettativa e ogni ipotesi di sviluppo successivo. Alcuni critici hanno letto il finale come una critica all'urgenza del giornalismo moderno e alla sua inadeguatezza di fronte ai tempi richiesti per dimostrare che la notizia sia anche la verità. Giustissimo, ma si parlava di complotti. Bella la sequenza finale della creazione del giornale stampato ma, per restare in tema, risulta molto più forte e coerente quella di Marco Risi e il suo "Muro di Gomma".
Ogni scuola di sceneggiatura insegna che la struttura è fondamentale, che occorre raccogliere ciò che si semina, che ogni parentesi aperta va anche chiusa, che i capolavori che non accettano queste regole sono pochissimi (e, in genere, passano alla storia perché inventano una struttura nuova). State of Play non soggiace alla regola, non cambia struttura, e lo paga. Peccato, perché le premesse erano buone.