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Tutti al mare - Film: recensione

I corsi e i ricorsi nel cinema raramente hanno funzionato. Se anche un tema merita di essere ulteriormente indagato, ciò non necessariamente è sinonimo di riuscita.

Il film

La vicenda, o meglio la pellicola, narra delle vicende e dei vari accadimenti che movimentano le giornate di un chiosco situato su una spiaggia del Lazio, frequentato da avventori di tutte le estrazioni sociali, dai soliti furbi e da una gamma di personaggi che, metafore dei caratteri sociali, interpretano figure estremizzate mescolate a clichés conosciuti, ma sempre vivi e vegeti: dal maresciallo da ammorbidirsi a suon di colazioni, al vip con cui mostrarsi generosi, dal genero cleptomane, alla madre insopportabile. Maurizio (Marco Giallini), il gestore, cerca di destreggiarsi tra questa varia umanità, cercando, soprattutto, di riuscire a sopravvivere senza essere fagocitato da questa babele umana alla quale si aggiungono, per buona misura, immigrati, suicidi, nostalgici fascisti ed altri personaggi.

Corsi e ricorsi

Il tema non è nuovo né tantomeno il titolo del film, “Tutti al mare” evocativo di canzoni anni ’60 peraltro riproposte nella pellicola, evocativo di un vecchio, omonimo film del 1987, statunitense quello, che narrava di analoghe vicende, evocativo infine di un esperimento cui Cerami Vincenzo, padre del regista Matteo Cerami, aveva partecipato come sceneggiatore, ovvero “Casotto”, film italianissimo che narrava di una cabina suddivisa tra 19 personaggi diversi, antesignana del chiosco gestito da Maurizio.
L’adagio che cantava “ .. per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso mare…” non ha però funzionato nonostante l’innesto di grossi calibri come Gigi Proietti nella parte dello smemorato, Ninetto Davoli nella parte di Alfredo, lo stesso Vincenzo Cerami nella parte di Gianni e di un ottimo Ennio Fantastichini nella parte del suicidando. Ma il miracolo non avviene ed il ricorso storico si compie annegando nelle acque basse di una stereotipata umanità che non ha guizzo di novità. "Tutti al mare" é film pertanto che naufraga tra l'emulazione e la rappresentazione di un’Italia anonima che, quantunque realistica, non dà né spessore né vivacità alla pellicola, né tantomeno induce ad una seppur generica trattazione sui tipi sociologicamente individuabili e sui legami che li mantengono in quel precario equilibrio da chiamarsi società. Né si può invocare d’altronde l’attenuante di voler essere un film leggero, una semplice commedia di intrattenimento che, Neri Parenti docet, avrebbe necessitato di ben più normali stereotipi nostrani. La volontà dunque di ricercare personaggi particolarmente bizzarri o estremizzati come la seducente lesbica che tenta di circuire Maurizio, o situazioni paradossali come la barca di immigrati che passa dietro l’ignara bagnante tutta concentrata al telefono, non è ironia sulla tragicomicità dell’Italia ma è, semmai, un ulteriore capitolo di quella mediocrità della quale il film diviene parte integrante e attiva.

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