Blue Valentine di Tom Waits: recensione
Uno dei più importanti capolavori di Tom Waits, il Bukowski del rock
Tom Waits
Blue Valentine, pubblicato nel 1978, è il sesto album di Tom Waits, uno dei più grandi musicisti del ventesimo secolo. Nelle sue dieci tracce è condensata tutta la poliedricità musicale dell'artista americano, dal rhythm'n'blues al jazz, con passaggi che ricordano il miglior Gershwin.
Il titolo è un'allusione alle lettere d'amore scritte durante San Valentino, le "Blue Valentines", per l'appunto. Gli stessi testi delle canzoni sono strutturati in questo senso, accomunate tutte dalla difficoltà di amare, e da un senso di vissuto che spesso raggiunge il sublime, perfetto riflesso di un artista venuto dalla strada e noto per i suoi eccessi. Come disse lui stesso: "Non riesco a capire coloro che si rifugiano nella realtà perché hanno paura di affrontare la droga".
Playlist
Si apre con la nostalgica “Somewhere”, per poi spiazzare l'ascoltatore con l'agguato teso da “Red Shoes by the Drugstore”, ovvero una declamatoria da predicatore navigato condotta su un ritmo costante ed essenziale. Il patetismo e le epiche da vita di strada si risollevano con “Christmas card from a hooker in Minneapolis”, per poi giungere ad una delle massime espressioni jazz dell'intero disco, ossia “Romeo is bleeding”, racconto in stile noir anni 40 con punte di violento realismo. “$29,00” è il suo naturale proseguimento, se si esclude l'aria da jam session.”Wrong Side of The Road” è una spirale di dissoluzione umana recitati con il senso dell'ineluttabilità e della poetica delle immagini. Con “Whistlin' Past the Graveyard” il blues ritorna ad essere un tiranno prepotente, mentre “Kentucky Avenue” è una delle sue ballate più struggenti. “A sweet little bullet from a Petty Blue Gun” è sulla falsariga di Red Shoes, ma estremamente più articolato e malato. Chiude “Blue Valentine” e il suo romanticismo senza riconciliazione.
Giudizi
Blue Valentine è, come spesso accade in Waits, un inno ai reietti della società urbana, raccontati sotto un profilo che non è tanto di critica sociale, quanto di rivalsa umana, il tutto grazie ad un'architettura musicale che abbraccia ora il sound del melodramma hollywodiano, ora le ballate da night club, ora la versatilità del rhythm'n'blues e del jazz. Ad ascoltarlo si ha la sensazione di ritrovarsi allucinati a camminare lungo una strada stipata di un'umanità autentica e maledetta, a fianco di un Virgilio senzatetto ubriaco che declama verità e racconti di vita gonfi di ironia e romanticismo. La sua voce cavernosa è in grado di trasformarsi in continuazione, assumendo il tratto ironico di Captain Beefheart, o rubando quella di Louis Armstrong, ma dandole una luce sinistra e psicotica. Un album, a distanza di trentadue anni, ancora ricco e suggestivo, come è tipico dei capolavori.