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The Beach, recensione del film

Un viaggio zaino in spalla, un'isola sperduta e incredibili avventure da vivere... un paradiso terrestre? Forse. Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo.

La ricerca di se stessi

The Beach, girato nel 2000 con la regia di Danny Boyle, è la storia di un viaggio. Il viaggio di Richard (Leonardo di Caprio), partito alla scoperta del mondo e giunto a scoprire se stesso. Un viaggio influenzato, forse, da quel pensiero new age che sembra tornare a lambire ciclicamente le coste delle produzioni hollywoodiane. L'idea di un ritorno all'epoca d'oro del contatto con la natura, del sentirsi un tutt'uno col creato. Quello che Richard sembra dimenticare è che l'umanità rimane umanità ovunque si trovi. La natura umana non conosce barriere e non si ferma a nessun confine. E così resta sorpreso quando l'indifferenza, l'egoismo e la grettezza si fanno spazio anche in paradiso. È un lungo viaggio per scoprire qualcosa che si poteva trovare sotto casa, ma per lo meno è un percorso accompagnato da una gran bella colonna sonora. Tra i brani, è da segnalare la presenza di alcune canzoni di Moby e delle All Saints che hanno fatto clamore nel periodo d'uscita del film. Nel complesso si tratta un film ben fatto e godibilissimo, ricco di citazioni da film (l'ovvio Laguna Blu), libri (Il Signore delle Mosche, di Golding, evidentissimo nella degenerazione allucinata di Richard) e dal mondo dei videogames.

La trama (occhio agli spoiler)

Il giovane protagonista parte dalla sua tranquilla casa negli USA col pretenzioso proposito di allontanarsi dai comfort e fare "vere" esperienze di vita. Ottiene più di quel che cerca quando il bizzarro Daffy (Robert Carlyle), conosciuto in albergo, prima di tagliarsi le vene gli lascia una mappa che cambierà la sua vita. È l'inizio del vero viaggio. Reclutati due compagni di viaggio francesi, l'organizzatissimo Etienne (Guillaume Canet) e la splendida Françoise (Virginie Ledoyen), il terzetto attraversa la Thailandia in cerca del paradiso. E così l'ideale new age realizza se stesso: il paradiso è abitato. La piccola comunità, che vi si è insediata da pochi anni, l'ha fatto proprio e l'ha plasmato. Emblematica l'affermazione dell'ambigua Sal, interpretata dalla brava Tilda Swinton (sempre a suo agio in ruoli di questo genere): "A volte bisogna fare ordine anche in paradiso." Ma quell'ordine artificiale è forzato e fuori posto. Sarà evidente nel momento in cui il dolore e la sofferenza faranno irruzione in quel piccolo mondo, e l'unica soluzione sarà nasconderli sotto un tappeto e cercare di dimenticarli. Ma la violenza ha un suo modo di contrastare se stessa, e quando Richard riemergerà dal suo delirio, capirà che è ora di andarsene e portare nel mondo le lezioni apprese, prima che l'egotismo uccida il paradiso.

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