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Giuseppe Verdi, storia e opere

“..La vita... che importa?... È il racconto d'un povero idiota; Vento e suono che nulla dinota!..” (Macbeth, atto quarto, scena VI)

La vita

Nato vicino a Busseto nel 1813, dopo gli iniziali studi sul contrappunto, Giuseppe Verdi si trasferì a Milano ove si affidò agli insegnamenti del maestro Vincenzo Lavigna e frequentando costantemente i teatri.
Il 9 marzo 1842 venne rappresentato per la prima volta il “Nabucco” e da allora il suo talento viene a rivelarsi al grande pubblico.
Di quegli anni le prime rappresentazioni a Milano, Venezia, Roma, Napoli.
Già dieci anni dopo con il “Rigoletto” l’arte di Verdi raggiunge i suoi massimi livelli per l’equilibrio tra i mezzi musicali impiegati e la scansione delle scene teatrali.
Non ancora quarantenne la sua fama diviene internazionale, anche se sarà una esperienza irta di insidie, sia per l’adattamento dei libretti alle diverse lingue, sia per inattese censure.
Eletto deputato al Parlamento, Verdi assiste alla mancanza di sentimento che accompagna la neonata nazione. Troppi ancora sono i drammi individuali e sarà ancora a quelli che s'ispirerà.
Il decennio successivo tra il 1870 ed il 1880 sarà un periodo di relativa stasi.
La fine del secolo, precedente la morte avvenuta nel 1901, vede il completarsi della sua vicenda artistica con la composizione di quattro pezzi sacri.

Le opere

Delle 31 opere di Verdi, sicuramente il "Nabucco" rappresenta l’inizio del suo trionfo. Ad essa seguirono nell’arco di pochi anni, “I Lombardi alla prima crociata”, “La battaglia di Legnano”, “I due Foscari”, “Giovanna d’Arco”, “Alzira”, “Attila”, “Il corsaro”, “I masnadieri”, tutte cariche di un intenso sentimento lirico giovanile. “Ernani” e “Macbeth” segneranno il passaggio verso una più complessa maturità dove l’indagine psicologica sostituirà i toni lirici.
“Rigoletto”, “Il trovatore”, “La traviata” costiuscono la cosiddetta “trilogia popolare”, ispirata ai drammi romantici francesi, dove la condizione dell’individuo e i suoi conflitti interiori emergono preponderanti nelle partiture musicali complesse quanto raffinate.
Seguono opere in parte interlocutorie come il “Simon boccanegra,” “Un ballo in maschera” e “La forza del destino”, ove i sentimenti che cercano di scavalcare la dimensione individuale per assumere toni sociali ed anche politici, non trovano corresponsione nel successo. Ma tale realismo sarà anticipatore del “Don Carlos” da molti considerato l’apice di Verdi, dove emerge saldo il conflitto tra individuo e “ragion di stato”.
Anche in “Aida”, Verdi riuscirà a mantenere lucidi i toni di questo sua vena indagatrice del dramma individuale e sociale, ultimo suo grido di denuncia alla irrisolta condizione umana.
“Otello” e “Falstaff” saranno gli ultimi capolavori, dove la partitura che già nel “Don Carlos” aveva sperimentato i toni wagneriani, qui trova ampia ed esaustiva conferma, in un'architettura musicale ancora una volta traboccante forza e drammaticità.

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