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Dopo il maremoto

La situazione agricola dopo il disastro che si è abbattuto sul Giappone l'11 marzo 2011. Le difficoltà e le prospettive.

Ben sappiamo che la reazione dell'essere umano nei confronti dei fenomeni naturali è sempre un'icognita da scoprire: spesso l'irrazionale prende il sopravvento e immancabilmente si sfocia in panico.
Lo scorso 11 marzo un sisma di M 9,1 della scala Richter (che corrisponde alla violenza prodotta dalla detonazione di 250 milioni di tonnellate di tritolo) ha scosso il nord est del Giappone. Si parla di un'area di circa 67,000 Kmq con una popolazione di poco meno di 10 milioni di abitanti, la maggior parte dediti all'agricoltura nelle sue varie forme, eccezion fatta per la produzione di automobili della Toyota e poco altro. Come conseguenza diretta del sisma su quasi 500 Km di costa del Pacifico si è abbattuto uno tsunami che, in corrispondenza delle vie fluviali, è penetrato oltre 40 Km nell'interno. La spaventosa ondata ha travolto tutto: case, automobili, navi, ospedali, alberi... tutto. Ha seminato morte e distruzione: oltre 30.000 sono le vittime, per non parlare del numero dei sopravvissuti rimasti senza tetto, senza acqua, senza cibo. Probabilmente ci vorrà ancora del tempo prima che le cifre definitive del disastro ecologico prodotto possano essere rese pubbliche. Le risaie della zona colpita, una volta fiorenti, sono ora piene di detriti e inondate d'acqua salata. Anche se il paese è altamente tecnologico, il consumo di riso pro capite è di circa 3 Kg al mese: si tratta dell'alimentazione base. Certo la zona produce anche soya, patate ed altro, ma tutto ciò è stato, momentaneamente, distrutto. E la ricostruzione non è resa facile dal disastro nucleare di Fukushima: 30 Km attorno alla centrale assolutamente interdetti e circa 80 evacuati. Il governo ha proibito l’uso di tutti i prodotti alimentari che si teme siano stati contaminati. Le prime statistiche parlano di danni dell'ordine di 400 miliardi di dollari americani: il più costoso danno naturale della storia mondiale. Non c'è dubbio alcuno, dunque, che questo sia anche il disastro più grave della storia giapponese. Ma c'è la volontà di sopravvivere, di ricostruire, di rifare anche se ci vorranno molti, molti anni per bonificare la zona. Il Giappone, però, sta dando al mondo intero una lezione di vita: sta dimostrando, a testa alta, come la paura atavica dell'ignoto, dei fenomeni della natura e dell'errore umano debba essere sopportata e controllata.

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