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De bello civili: struttura e contenuto dell'opera di Caio Giulio Cesare

Con il De bello civili, Giulio Cesare racconta, dopo gli eventi del De bello gallico, la guerra civile (49/48 a.C.) scoppiata dopo il suo rifiuto di obbedire al Senato Romano.

Un'opera apologetica

Il De bello civili, come già il De bello gallico, è sicuramente un'opera che mira a mettere in risalto le ragioni del condottiero Romano, giustificandone le azioni; il peso dato agli eventi, però, è diverso: se nella guerra di Gallia lo spirito era quello della necessità di combattere il nemico comune, qui si respira un senso di angoscia, di una guerra non voluta, almeno in apparenza (nel Libro I Cesare ricorderà più volte di essere stato forzato allo scontro). È significativo, ad esempio, che la parola hostis (nemico) durante la guerra civile non compaia mai.
Del resto Cesare, con i suoi avversari Romani, mostrò sempre più benevolenza rispetto agli avversari esterni (come potevano essere i Galli). Significativo l'episodio in cui Plutarco racconta che alla vista della testa mozzata di Pompeo (ucciso per volontà dei consiglieri del Re d'Egitto Tolomeo) Cesare scoppiò in lacrime.
Il De bello civili si compone di tre libri. I primi due si concentrano sugli eventi del 49 d.C., il terzo, invece, su quelli del 48 d.C.: - Libro I: il libro comincia con le lettere di Cesare inviate al Senato (respinte) per ricomporre lo strappo e prosegue fino alla marcia lungo la penisola iberica;
- Libro II: in questa fase intermedia ci vengono raccontate le vicende della guerra di Marsiglia, portata avanti da Gaio Trebonio e Decimo Bruto (che sarà uno dei congiurati partecipanti all'assassinio di Cesare) e della spedizione in Numidia di Gaio Scribonio Curione (culminata con la sua cattura da parte delle forze nemiche; si suiciderà durante la prigionia);
- Libro III: il libro si apre con l'elezione di Cesare a console e i suoi primi provvedimenti amministrativi, terminando con la guerra ad Alessandria.

Linguaggio

Lo stile adottato da Cesare è molto semplice e lineare: gli studenti liceali che si trovano a tradurne le versioni incontrano meno difficoltà con Cesare, rispetto ad altri autori più complessi come Cicerone e Seneca.
Cesare usa abbondantemente il linguaggio schietto e limpido, non ama il discorso diretto ed è molto pragmatico nella scelta dei vocaboli: del resto era un atticista, cioè un seguace della scuola che predicava l'uso di un linguaggio lineare, conciso, privo di artifici. Una sua massima aurea era "Habe semper in memoria et in pectore ut, tamquam scopulum, sic fugias inauditum atque insolens verbum" (Abbi sempre nella mente e nel cuore di evitare, come uno scoglio, parole insolite e mai sentite), un monito a conservare purezza e unità della lingua latina.

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