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De rerum natura: struttura e filosofia del poema di Lucrezio

“…Dunque ogni cosa visibile non perisce del tutto, poiché una cosa dall'altra la natura ricrea, e non lascia che alcuna ne nasca se non dalla morte di un'altra…”.

La struttura

De Rerum Natura” è un poema didascalico suddiviso in sei libri. Per ogni coppia di libri (diade) viene trattato un argomento diverso afferente la dottrina epicurea: la dottrina degli atomi, l’uomo biologico e psicologico e l’universo e i fenomeni naturali. Il poema si apre con una invocazione a Venere, ovvero alla vita e si chiude con la descrizione della peste di Atene, ovvero l'arrivo della morte. Con questi sei libri Lucrezio cerca di spiegare ai romani tutta la filosofia di Epicuro. Utilizza il linguaggio della poesia per attirare a sé il lettore ma, nella necessità di ben farsi comprendere, è continuamente costretto all’uso di perifrasi, necessarie oltre tutto per la mancata corrispondenza di taluni vocaboli greci nella lingua latina.

La filosofia

L’uomo, esordisce Lucrezio è prigioniero delle tradizioni religiose che gli impongono una falsa visione degli dèi. Gli dèi esistono ma non interferiscono nella vita umana né tanto meno pretendono iniqui sacrifici come quello di un figlio: “…quella religione di cui ho parlato prima portò ad azioni empie e sciagurate…. indurre a sì gran misfatto poté la religione…”. Il suo giudizio è tagliente e chiaro. Il mondo si muove, cresce e si rigenera dunque per altre motivazioni: “…noi siamo soliti chiamare queste cose materia e corpi genitali, e definirli anche semi delle cose o corpi primi, perché proprio da quegli elementi originari tutto deriva…”. Chiarito dunque il rapporto tra dèi, vita naturale ed esseri umani, ecco che questi ultimi hanno un loro preciso compito che è nella ricerca del piacere da non intendersi però falsamente come voluttà: “…la ricchezza, la nobiltà e il potere politico non giovano al corpo; Epicuro aveva ridotto il numero dei bisogni naturali e necessari, quelli indispensabili per sopravvivere, a tre (non aver fame, non aver sete, non aver freddo) …”. Tutto ciò tuttavia genera nell’uomo la paura della morte, intesa come fine di tutti i piaceri dai quali non vuole distaccarsi o, se non ne ha provati, come mancata possibilità di ottenerne, ma la natura pensa a redarguirlo: “…siccome desideri sempre ciò che non c’è, e disprezzi i beni presenti, la vita ti è scivolata via incompiuta e senza gioia, e la morte ti è comparsa a fianco all’improvviso …”. Ma l’uomo sembra non accettare questa regola e questo invito alla moderazione, così la vita gli scivola tra le mani senza appagamento e, soprattutto, senza alcuna provvidenza divina. Sarà la peste che metaforicamente lo punirà per non aver mantenuto un comportamento accettabile con la natura e con sé stesso.

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