Stick it DVD: recensione del film scritto e diretto da Jessica Bendinger
Come sempre negli Stati Uniti, quando la vita presenta qualche problema, una bella favola giunge, quale messaggera della provvidenza, a rimettere tutto a posto, non vi preoccupate: must go on!
La trama
Missy Peregrym, che in "Stick it" interpreta Haley Graham, è una diciassettenne con notevoli problemi alle spalle, anche con la giustizia, tanto che, all’ennesimo guaio combinato, viene spedita alla VGA, una scuola di ginnaste di alto livello, per redimersi attraverso la disciplina sportiva.
Paternali e indulgenze
La questione delle difficoltà degli adolescenti, spesso legate a scontri generazionali con i genitori o comunque con “i più grandi” sono tema vasto e sempre attuale. Il film, scritto direttamente dalla regista, Jessica Bendinger ci rende tuttavia edotti del problema senza poi entrare più di tanto nel merito né attraverso la storia personale della ragazza né attraverso elementi ambientali che possano indurci a un qualche approfondimento. Il disagio e la conseguente irresponsabile reazione della protagonista vengono dati come fatto assodato.
Sono i problemi di uno stereotipato modo adolescenziale di vedere le cose, tanto che il finale, altrettanto stereotipato, ci riserverà lo scontatissimo ritrovamento di tutti i valori migliori al mondo, come l’amicizia e la solidarietà, al punto da farli divenire elementi vincenti della sfida e conquista sportiva.
In un contesto più ampio, la vicenda diviene surreale metafora di quella competitività che proprio negli Stati Uniti è alla base di ogni insegnamento e rapporto sociale. Addirittura, sovvertendo gli obiettivi che si era posto il giudice con tale rieducazione, sarà proprio Haley che farà adottare clichés e nuovi comportamenti alle altre compagne e non viceversa. Comportamenti e gestualità che nulla aggiungono a quanto già conosciuto e che anzi, pongono come emergente il problema di questa adolescenza destinata a combinare guai se non trova dove scaricare la propria adrenalina. Una adolescenza dunque destinata ad autoemarginarsi in un comportamento che diviene non solo ragione di conflitto familiare e sociale ma, più apertamente, mancanza di idee e di futuro, che ha motivo di sopravvivere in questa condizione solo trovando qualcuno su cui riversare le proprie repressioni e insoddisfazioni. Eppure l’intento era buono. E anche la tematica.
Il momento chiave è proprio all’inizio della pellicola quando il padre, di fronte alla scelta datagli dal giudice, decide di rispedire la figlia là dove stava per raggiungere la vetta del successo mondiale.
Altra era dunque la verifica da fare: Haley era diventata così per l’egoismo e l’errore dei genitori che necessariamente le volevano cucire addosso un futuro di loro gradimento o sarebbe divenuta comunque una ribelle, per sue intrinseche caratteristiche? Il film a questo non solo non risponde ma anzi fa emergere unicamente la condanna come cosa necessaria e giustificata, con buona pace dei motivi scatenanti.