The Shock Labyrinth: Extreme 3D (2009): scheda e recensione del film
"The Shock Labyrinth: Extreme 3D" è un horror non molto riuscito, di Takashi Shimizu
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Effetti speciali
Non sempre l’avanzamento tecnologico è sintomo di progresso. Anzi, a volte può indurre una pigrizia mentale pericolosissima, soprattutto quando interessa il processo della creazione intellettuale e la spinge ad una involuzione. E’ proprio quanto succede nel cinema, ove la possibilità di poter usare effetti visivi sempre più sofisticati, a volte, ha come risultato finale un prodotto di scarsa qualità, nel quale, l’unica cosa apprezzabile sono gli effetti speciali.
Scheda e recensione
Il film di Takashi Shimizu, “The Shock Labyrinth: Estreme 3D”, è un esempio lampante dell’assunto di partenza. Il regista, è autore di una saga, “Ju-On”, che ne ha fatto un maestro nel genere horror. Da allora, però, la sua creatività è andata in costante calando, come dimostra questo film, che parte dal ritorno di Ken nella sua città natale e dal riallaccio del vecchio giro di conoscenze. Tra loro, però, manca, o meglio dovrebbe mancare, una ragazza, Yuki, scomparsa dieci anni prima in un parco divertimenti horror. Mentre Ken fraternizza con il suo vecchio amico Motoki, nel salotto della sua ragazza, Rin, che è cieca, ricompare proprio Yuki, tornata in città nello stesso giorno di Ken. Presi dalla gioia di rivederla, i ragazzi non si pongono alcune domanda, né del resto avrebbero motivo apparente per farlo. Poi, però, Yuki precipita per una rampa di scale e, soccorsa dagli amici, cui si è aggiunta la sorella minore, Miyu, viene portata in ospedale. Ove però, non vi sono pazienti, né personale medico pronto ad assisterli. Da qui comincia una notte da incubo, nel corso della quale Yuki cerca di portare a termine la sua vendetta, creando una serie di colpi di scena che servono soltanto a Shimizu per mettere in opera gli effetti speciali tridimensionali.
Il genere horror è uno dei più difficili in assoluto. Se la tensione non c’è e la storia regge poco ad un esame smaliziato, è inevitabile un effetto di comicità involontaria. Ed è proprio quello che succede con questa pellicola, che non riesce mai a creare la giusta tensione e a tenere incollati alla sedia gli spettatori. Che alla fine non possono far altro che rimpiangere la maestria con cui i maestri riconosciuti del genere, decenni or sono, riuscivano a creare un alone di paura intorno alle vicende narrate, senza alcun bisogno di effetti speciali. Per quelli bastavano alcuni piccoli accorgimenti e la capacità di tenere in mano la materia. Per il povero spettatore, rimangono solo due alternative: o alzarsi, lasciando a metà la visione del film, o predisporsi a vedere dove vuole arrivare il regista, sperando sempre in un colpo di scena che però non arriva.