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Sibilla Aleramo: biografia e bibliografia

Rina Marta Felicina Faccio, meglio nota come Sibilla Aleramo, nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876 e, dopo un periodo trascorso a Milano, si stabilisce definitivamente a Civitanova Marche dove, gli avvenimenti subìti, condizionano fortemente la sua vita instillandole il desiderio di lottare per i diritti femminili (esempio ne è la battaglia per il diritto di voto alle donne).

Relazioni burrascose e la pubblicazione di "Una donna"

Il tentato suicidio della madre, la violenza inflittale da un collega di lavoro, il matrimonio riparatore impostole dal padre e la perdita del bambino concepito in quell’occasione la condussero a un’esistenza piena di tristezza e angoscia; cercò conforto dando la vita a Walter ma, non vedendo migliorare la sua esistenza, tentò dapprima il suicidio poi, decise di dedicarsi alla scrittura di articoli aventi carattere sociologico, psicologico, politico e di costume. Attraverso la scrittura pensava di poter trovare il riscatto da una vita opprimente, rivendicare il ruolo sociale della donna e uscire dalla spirale di tristezza e delusione in cui il marito la costringeva a vivere. Trasferitasi a Milano, le fu affidata, nel 1899, la direzione del settimanale socialista “L’Italia femminile”, dove conobbe Guglielmo Gianfelice Damiani.
La liason con Damiani condusse Sibilla a lasciare la famiglia e trasferirsi a Roma dove conobbe Giovanni Cena, con cui avviò una relazione; l’influenza dell’uomo fu notevole poiché fu lui a suggerirle la scrittura di “Una donna” (1906), le suggerì lo pseudonimo “Sibilla Aleramo” e con lei fondò le “Scuole dell’Agro Romano” per analfabeti. Al termine della relazione con Cena si avvicinò al futurismo e iniziò una relazione con Campana; pubblicò “Il passaggio”, “Momenti” e “Andando e stando”, poi fu il turno di “Endimione”, opera dedicata a D’Annunzio; firmò il “manifesto degli intellettuali antifascisti” anche se, dopo un colloquio con Mussolini passò nelle “truppe” del fascismo ottenendo una notevole pubblicità.

Da Matacotta al triste epilogo

Nel 1927 pubblicò “Amo, dunque sono” (dedicata a Giulio Parise), in seguito “Gioie d’occasione”, “Il frustino” e, nel 1936 conobbe Matacotta, all’epoca ancora studente; Sibilla aveva 60 anni mentre l’amante solo 20 e tuttavia, la loro storia sarebbe durata 10 anni. Nel 1938 pubblicò “Orsa Minore” e nel 1945 grazie a “Dal mio diario. 1940-1944” la relazione con Matacotta fu conosciuta e raccontata come complicata dalla differenza generazionale e da una disparità culturale che generava difficoltà e tensioni; al termine della seconda guerra mondiale si iscrisse al PCI, pubblicò “Selva d’amore”, “Il mondo è adolescente”, “Aiutatemi a dire”, “Luci della mia sera”, collaborò con l’Unità e la rivista “Noi donne”. Depressione e povertà le fecero compagnia gli ultimi anni di vita e il 13 gennaio del 1960, in seguito a una malattia, Sibilla depose le armi e lasciò che il destino le “rubasse” la vita.

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