La mala educación: recensione e trama
La mala educación, film del 2004, affronta tematiche serie e difficili, tuttavia Almodòvar vince ancora una volta la sfida, con il suo particolare stile e una buona scelta degli attori.
Trama
L'inizio è ambientato nei primissimi anni '80 a Madrid. Juan (Gael García Bernal) si reca da un regista, Enrique (Raul García Forneiro), con l'intenzione di fargli realizzare un film tratto proprio da un suo racconto, "La visita". In realtà, Juan si finge suo fratello maggiore Ignacio (Francisco Boira).
Le vicende del racconto, ambientato negli anni '60, riguardano due amici di collegio che provano i primi timori per la scoperta del sesso e dell'omosessualità. Tuttavia, Padre Manolo (Daniel Giménez Cacho) ha forte attrazione nei confronti di Ignacio e arriva ad abusare del ragazzo. Infine, decide di mandare Enrique, via dal collegio.
Intanto passano gli anni e adesso siamo a metà degli anni '70; Ignacio, truccandosi e vestendosi da donna, finge di essere sua sorella e si reca da Padre Manolo, con intenzioni vendicative. Il giovane lo ricatta, minacciando di rilevare tutti i segreti del collegio. Alla fine, Ignacio viene ucciso da un confratello di Padre Manolo, che così può evitare le accuse e le minacce.
Il regista accetta di buon grado di realizzare il film, ma ha perplessità sull'identità di Ignacio e decide di andare a trovare la madre, che gli rivela che il figlio è morto quattro anni prima. Grazie a una foto, Enrique comprende che il giovane che si finge Ignacio è, invece, Juan, il fratello più piccolo. Il racconto è, tuttavia, stato scritto realmente da Ignacio, poco prima di morire.
Il regista dovrà, però, attendere altre piccole rivelazioni per poter meglio comprendere l'intera vicenda.
Recensione
Non è semplice affrontare dei temi così delicati in un film. Si rischia, infatti, di cadere nella banalità o nella retorica. Pedro Almodòvar è abile nel rappresentare questa storia di false identità, abusi, dolorosi ricordi e ricatti.
Questa "cattiva educazione" è, in realtà, quella che rimane per sempre e da cui non ci si può liberare. Tutto ciò porta, inevitabilmente, alla lacerazione dell'io, alla perdita della propria identità.
Non c'è desiderio di provocare lo spettatore, bensì mostrare la realtà di quei ragazzi per quella che è, ovvero dolorosa e amara.
Bravi anche gli attori, in alcuni ruoli non proprio semplici da interpretare.
Non è il film più interessante di Almodòvar, ma il coraggio è comunque da mettere in risalto e premiare.
Il film ha vinto, nel 2005, il Nastro d'argento, come miglior regia di film straniero.