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The Kingdom in DVD: recensione del film di Peter Berg

Un film in definitiva onesto che pur nella ricerca di una obiettività non comune in quel genere di pellicole, non riesce tuttavia a scrollare di dosso la fama di “perennemente buona” a quest’America che intende sempre e comunque far prevalere la propria verità.

La vicenda

Inviati in Arabia Saudita, i componenti di una squadra speciale dell’FBI, nell’intento di trovare i colpevoli di un attentato dove sono rimasti coinvolti molti civili americani (ispirato ad un episodio accaduto a Dharan il 25 giugno 1996) avranno un limitatissimo tempo a disposizione: cinque giorni. Affiancati da alcuni elementi delle forze dell’ordine locale, tutti dovranno fare i conti con una diffusa e bellicosa intolleranza. Il DVD "The Kingdom" in vendita online su molti portali, è arricchito di molti commenti tecnici sulle scene, di immagini da backstage e da una serie inedita di scene.

La sindrome

Ciò che muove questo tipo di film, specie dal 2001 in poi, è senza dubbio la sindrome di Osama. Oramai il cinema americano, dopo la pausa volta e sondare il fantascientifico per individuare nemici che iniziavano a scarseggiare ha, purtroppo per la realtà e per la storia, individuato senza difficoltà il nuovo e potente nemico. Ciò che lascia fondamentalmente perplessi, nonostante “The kingdom” sia anche un buon film d’azione, è la assoluta mancanza di un background incentivante e motivante la vicenda, che supporti tutto quanto accade. I ruoli, taluni commenti, l’individuazione di buoni e cattivi, avviene ormai scontatamente per l’attribuzione automatica di clichés e di motivazioni che non vale più la pena raccontare. I forti si salveranno, chi li ha aiutati pagherà con la vita il fatto di aver scelto quello che appare come una ovvio cambio di campo perché i buoni scontatamente non possono che venire dagli USA, senza verificare se, invece, sotto sotto non sia la punizione per un tradimento, visto che al mondo possono esistere altre verità ed altre interpretazioni dei fatti. Questo non giustifichi certo il terrorismo ma siamo oramai restii a pensare che la verità americana possa essere universalmente accettabile anche fuori dai loro confini.
Jamie Foxx è all’altezza del ruolo che svolge con matura consapevolezza, così come Chris Cooper, consumato mestierante che garantisce qualità in ogni occasione. Nondimeno Ali Suliman, che interpreta il sergente saudita passato con “i buoni”, offre una performance che, nel suo atteggiarsi sempre timoroso quanto desideroso di mostrare efficienza e capacità di indagine, lascia qualche residuo dubbio sulla volontarietà della sua collaborazione, facendo a tratti trapelare una moderata irritazione per quest’ingerenza non del tutto necessaria ma politicamente imposta.
La storia comunque procede agevole, con movimentati colpi di scena anche se l’incedere sulle scene sanguinose rischia di inceppare la dinamica e la rapidità dell’azione.

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